Giorno 3 - Singapore

 

Fuori dalla penombra e dall'atmosfera artificiale delle camere e dei corridoi dell'albergo, la luce è bianca e l'aria umida sembra un asciugamano bagnato. È mattina presto, ma mentre ci aggiriamo tra i localini dove alle sette si preparano già gli spaghetti alla piastra è già inequivocabile che farà caldissimo. Ogni tanto, arrivano folate di puzza di piedi: sull'altro lato della strada c'è una bancarella carica di durian, il frutto peggiore del creato, praticamente una palla verde bitorzoluta che sa di pesca ma anche un po' di piedi. In Asia è molto apprezzato, io personalmente non riesco ad andare oltre il piccolo dettaglio della puzza di piedi.

In giro a piedi ci siamo solo noi, e non credo sia un caso. Siamo in un sobborgo residenziale, e il caldo sta già diventando difficile da gestire. Quando arriviamo a Little India sto già sbocciando acqua minerale e Polase.

Little India è il quartiere più colorato della città, con le strade affollate di negozietti che vendono spezie aromatiche, frutta (purtroppo anche il durian), cellulari di ogni tipo e relativi accessori pacchiani, ciabatte (a Little India sembrano proprio andarne pazzi). Fuori dai templi (dove però si entra senza ciabatte), ci sono bancarelle piene di collane di fiori. I caffè hanno graffiti colorati sulle pareti e gente di ogni tipo seduta scomposta sugli sgabelli alti.

Mi gira la testa, e compro un casco di bananine rosse mentre ci trasciniamo pezzando verso Orchard Road e la sua parata di sfarzosi centri commerciali. In uno a caso di questi, ci rifugiamo a mangiare qualcosa, più che altro per toglierci per un po' dal caldo spietato che sale dall'asfalto, poterci sciacquare le mani e la faccia in un bagno vero. Finiamo per spendere una follia per un bagel con salmone e avocado e per perderci e vagare per un tempo imprecisato senza riuscire a trovare l'uscita. Arrivare in metropolitana fino al Botanic Garden è uno scherzetto, a confronto.

Ho sempre avuto un debole per gli orti botanici, ma quello di Singapore porta il concetto di orto botanico decisamente oltre (del resto, ormai si è capito che qui è tutto esagerato). Tutto è ordinatissimo ma lussureggiante, ci sono tratti di foresta pluviale, giardini a tema e laghetti molto Instagram. Con i piedi a pezzi, chiamiamo dei taxi e ci facciamo portare a Chinatown, a coronare la giornata con una Xing Tao da 66 a testa in un cortile, completamente incuranti del fatto che ci troviamo nella città delle multe e stiamo facendo una cosa vietata.

Ceniamo con degli spaghetti di soia alla piastra, satay e riso aromatico con pollo in un baretto indegno, con i tavolini direttamente in mezzo alla strada (un'esperienza decisamente migliore di Orchard Road), da dove fermiamo dei taxi per i Gardens By the Bay, un superparco di svariati ettari intorno a Marina Bay. Nel buio, brillano i supertree, che sono forse la cosa più fotografata di Singapore e sicuramente l'idea da cui è stato copiato che ha ispirato l'Albero della Vita dell'Expo Milano 2015, ma molto più in grande.

Non c'è quasi nessuno, c'è silenzio. Si sente solo il frusciare del vento tra le foglie. Cammino guardando in su, non fa più così caldo. Mi sdraio per terra ai piedi di uno di questi alberi strani, un po' artificiali un po' no, sul selciato caldo. Siamo rimasti molto in coda al gruppo. "Non alzarti subito, è giusto che te lo godi". È una cosa molto bella da dire, e io rimango zitta. Non rispondo nemmeno che, l'ultima volta che siamo rimasti molto in coda al gruppo, mi hanno rubato il cellulare. È tutto bellissimo, e non ero assolutamente preparata.

È così bello che mi viene un po' da piangere.



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