Giorno 2 - verso Singapore

Per colazione ci aspettano le uova. Quando si viaggia, per colazione ci sono sempre le uova. E quando non ci sono, significa una cosa sola: avrai fame. Forse ancora non ce l'hai, ma l'avrai. È provato.

Da Malacca si arriva a Singapore in circa tre ore, senza considerare il tempo per i controlli in dogana. Li faremo in autobus. L'albergo ha già chiamato i taxi che ci porteranno alla stazione. Ne arrivano due, in ritardo di quasi mezz'ora, e gli autisti appena ci vedono si sbalordiscono: solo 4 posti per macchina, e noi siamo in 16 più gli zaini. Dopo una lunga trattativa, si decide che faranno due viaggi. Non siamo ufficialmente più in anticipo, siamo appena puntuali. Segue una corsa pazza attraverso alla stazione e fino alla banchina (non poteva che essere l'ultima in fondo al parcheggio).Tra Malacca e Singapore ci sono circa 240 km e, a parte qualche sorpasso decisamente azzardato, passano in scioltezza fino alla dogana al confine tra la Malesia e la "città delle multe".

Provate a pensare a una cosa da fare, molto probabilmente scoprirete che a Singapore è vietata. È reato fumare, masticare chewing-gum, e bere alcolici in strada o in luoghi pubblici, sembrerebbe che siano vietate anche le manette con il pelo rosa del Fiorucci Store che i miei amici mi avevano regalato per i 18 anni (anche se di questa informazione non sono sicura al cento per cento). Nemmeno Giuseppe Conte è riuscito ad arrivare a tanto con i dpcm (per ora).

La dogana è a forma di Autogrill a ponte, il pullman rimane sotto (dove verrà controllato), noi andiamo di sopra (dove verremo controllati). I nostri zaini vengono perquisiti da guardie seriose in cerca di pacchetti di Marlboro o di Vigorsol, i nostri passaporti vengono timbrati e possiamo tornare al pullman (di nuovo alla banchina più lontana), dove l'autista ci comunica che ha bucato una gomma (?) e quindi sta andando via. Un suo collega arriverà a prenderci tra cinque minuti (due ore). Quando finalmente arriva un tipo a raccoglierci, ci trova sfatti dal caldo e sdraiati sugli zaini come tanti Gregor Samsa. Non ci poniamo troppe domande e andiamo con lui.

Alla stazione degli autobus cambiamo un po' di soldi in dollari di Singapore (S$), poi facciamo una corsa con gli zainoni verticaloni in spalla per saltare sul primo bus di linea (sperando sia quello giusto). Alloggiamo in un alberghetto pulito e impersonale, che fa molto film coreano. Abbiamo deciso di passare la serata a Marina Bay Sands, possibilmente sul rooftop, quindi mi faccio una doccia e tiro fuori il pezzo forte: una tuta in seta stampata che è il compromesso perfetto tra la troppa moda e la permanenza dentro uno zainone verticalone.

Vicino a noi (tipo un paio di chilometri) c'è una fermata della metropolitana: andremo con quella. Lo scopo del gioco è utilizzare tutte le tipologie di mezzi disponibili. Ci incamminiamo, e i ragazzi in camicia iniziano a pezzare drammaticamente al minuto due. Nei vagoni della metro, la temperatura è da cella frigorifera, la broncopolmonite è dietro l'angolo.

Singapore non era un posto nella mia Top 10. Prima di partire, per definire i dettagli dell'itinerario abbiamo votato per venirci o no, e io ho votato sì. Mi sembrava una città per gente ricca (cosa vera), cosmopolita ma senz'anima (cosa in parte vera), eppure sono contenta di esserci venuta.

Il Marina Bay Sands è uno sfarzosissmo resort sul fiume: comprende il terzo casinò più grande del mondo, un albergo, un centro congressi, un museo, due teatri, moltissimi negozi di lusso, due padiglioni di cristallo galleggianti, sette ristoranti e sicuramente anche molte altre cose che in questo momento non ricordo. Per rendere l'idea, basta pensare che nel grattacielo del casinò ci sono delle piscine navigabili tipo canali di Venezia.

A coronare tutto questo lusso, sulle cime dei tre grattacieli del complesso (200 metri d'altezza), c'è lo Sky Park: una piattaforma sospesa a forma di tavola da surf, dove ci sono giardini pensili, ristoranti pettinati, cocktail bar, una discoteca e la piscina "a sfioro" più Instagram del mondo. Oltre a una vista pazzesca. Quando si sale con l'ascensore (tutto color oro), la pressione ti tappa le orecchie.

Partiamo con l'idea di fare solo un aperitivo, finiamo per esagerare e spendere una follia per una portata a testa, un dolce molto aesthetic che ci dividiamo in tre, e cinque birre. Per fortuna esistono le carte di credito (peccato che non ci fosse il cashback), e prendiamo sportivamente un conto che forse da nessuna parte prenderei sportivamente. Archiviamo il caso con "Mica ci capita tutti i giorni", "Tanto domani si torna da qualche lurido" e "Crepi l'avarizia!"



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