Giorno 4: Rissani + Tinghir

 


Ci svegliamo presto per vedere il sole sorgere dietro le dune. All'inizio è solo una striscia dorata all'orizzonte, poi la luce si diffonde, e il deserto si colora di rosa. Oggi è il mio compleanno.

La sera prima abbiamo cenato in una tenda colorata, poi abbiamo seguito i ragazzi berberi fino al falò, sotto un cielo pieno di stelle. Cantano e suonano per noi, e restiamo lì a chiacchierare fino a tardi, fumando e sorseggiando vino rosso dalla bottiglia, aspettando la mezzanotte. Solo al momento di tornare alle tende ci rendiamo conto di quanto fosse pungente l'aria della notte, lontani dal calore del fuoco. Ridiamo ancora per cose senza senso – come la calzamaglia di Sofi, che ha pure i piedi ed è incredibilmente scomoda – fino a quando ci addormentiamo.


Oggi compio 36 anni, e per la prima volta festeggio in viaggio, con degli sconosciuti: una scelta perfetta. I colori del deserto iniziano pian piano a scaldarsi. Quando ci sistemiamo sui due fuoristrada pronti a sfrecciare sulle dune, il paesaggio è ormai un’esplosione di oro e azzurro intenso. La sabbia, sottilissima, mi si infila nelle scarpe. In lontananza, si intuisce il profilo di un accampamento berbero.

I berberi che abitano la regione desertica ai margini dell'Erg Chebbi appartengono alle antiche tribù amazigh, la popolazione indigena del Nord Africa. Sono noti per la loro ospitalità e per il legame profondo con il deserto, dove vivono in equilibrio con un ambiente impegnativo, sostenendosi grazie a un intreccio di tradizioni, artigianato e turismo. Molti di loro sono nomadi o semi-nomadi, spostandosi di frequente alla ricerca di pascoli per i loro animali, ma con il tempo alcuni si sono stabiliti in modo più permanente per accogliere i visitatori, organizzare escursioni in cammello e gestire campi nel deserto. Nonostante l’evoluzione del loro stile di vita, rimangono fedeli alla loro identità e alla lingua tamazight, tramandata con orgoglio di generazione in generazione, preservando così una cultura millenaria.


Ad accoglierci ci sono alcuni bambini sorridenti e una donna dagli occhi chiari e profondi. Quando le chiediamo una foto, lei ci fa un cenno e si allontana per un momento. Al suo ritorno ha truccato gli occhi e cambiato il velo con uno più colorato: si è fatta bella per noi. Sotto una tenda bassa, ci versa del tè alla menta: il suo gesto è semplice ma trasmette un’accoglienza calorosa, è bello essere suoi ospiti. Dopo averle lasciato qualche spicciolo, partiamo per Rissani.

Spesso considerata la porta del deserto, Rissani è un importante centro commerciale e culturale nella regione, nonché un luogo ricco di storia: qui si trovano le rovine dell'antica città di Sijilmasa, un tempo un vivace snodo lungo le rotte carovaniere dell’oro e del sale che attraversavano il Sahara fino all'Africa subsahariana. Rissani è anche il luogo d’origine della dinastia alawita, la famiglia reale che governa il Marocco ancora oggi. Questo la rende una città con un valore simbolico particolare per i marocchini, tanto che vi si trovano ancora numerosi mausolei e tombe di antichi sultani e membri della dinastia.


Uno dei motivi per cui vale la pena visitare Rissani è senza dubbio il suo souk, particolarmente vivace nei giorni di mercato – martedì, giovedì e domenica – quando diventa un concentrato di colori, odori e voci. Qui puoi trovare di tutto: spezie, tessuti, frutta e verdura, utensili e oggetti d’artigianato. Subito fuori dal mercato c'è il parcheggio per asini, dove i contadini delle aree circostanti “posteggiano” i loro mezzi di trasporto a quattro zampe prima di lanciarsi nelle contrattazioni. Passeggiando nel souk, si può anche provare il madfouna, la “pizza del deserto,” un piatto tipico di Rissani. È una specie di focaccia farcita con carne, spezie e verdure, cotta sulla brace, perfetta se ti piacciono le spezie e i sapori intensi. Il tempo di mangiare un boccone e contrattare qualche souvenir e ripartiamo.

Da qui, il viaggio prosegue verso Tinghir, una pittoresca cittadina berbera immersa in una fertile oasi tra le montagne dell'Alto Atlante e le aspre distese del Jebel Saghro. Tinghir è un luogo di contrasti, con i suoi palmeti rigogliosi e le kasbah in terracotta che emergono sullo sfondo delle montagne aride e rossastre. E a pochi chilometri da qui, le famose gole del Todra. Con pareti rocciose che si innalzano a oltre 300 metri sopra il fiume, queste gole creano un passaggio naturale perfetto per escursionisti e arrampicatori. Al mattino e alla sera, le pareti si tingono di rosso e oro, regalando uno spettacolo che ricorda un po' le Dolomiti.


Alla base delle gole, scorre ancora il fiume, che durante la stagione secca si riduce a un sottile corso d'acqua, ma in primavera si riempie di vita grazie allo scioglimento delle nevi sulle montagne dell’Alto Atlante. Passeggiando lungo il sentiero principale, potresti imbatterti in pastori nomadi, scalatori in azione e venditori locali che offrono souvenir artigianali.

Il nostro riparo per la notte è una superba kasbah ristrutturata e trasformata in albergo, la mia camera è in una delle torrette che dominano la vallata. C'è persino una piscina ed è davvero un peccato che il clima è troppo rigido per farsi un bagno. A riscaldare la sala dove ci hanno sistemati per la cena, piena di cuscini colorati, c'è il camino acceso.

Direi proprio un bel compleanno.



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