Sri Lanka, giorno 1: Welcome to the Jungle

 


Quando mi chiedono "E tu, dove vai in ferie?", la domanda successiva è quasi sempre: "Perché?". Ormai ci ho fatto l'abitudine; la mia idea di vacanza raramente coincide con quella tradizionale. Perché no, quindi? Non sopporto i trolley e i resort, amo il mare, ma la classica vita da spiaggia mi annoia, e stare sdraiata su un lettino ad abbronzarmi è decisamente tra le attività che considero più inutili al mondo.

Lo Sri Lanka, ad esempio, è una meta deliziosamente fuori dagli schemi. Probabilmente l'isola meno inflazionata dell’Oceano Indiano, è come un'India in miniatura, più gestibile e meno frenetica. Lo Sri Lanka è un paese di contrasti: antiche tradizioni, paesaggi mozzafiato e cibi tra i più piccanti della Terra. Un sogno, forse una favola.

Un po' meno fiabesco è stato il preambolo: dopo aver finito di lavorare alle otto di sera, esausta, mi sono ritrovata con lo zaino ancora da preparare e una cena da improvvisare, mentre il mio ristorante cinese preferito era già chiuso per ferie. Finisco i preparativi tardissimo, senza la minima idea di cosa ho effettivamente messo nello zaino (spoiler: tantissime salviettine). Dopo la classica doccia pre-partenza, all’alba sono pronta per affrontare 6 ore di volo da Malpensa al Bahrein. Da lì, dopo 6 interminabili ore di scalo, in cui spendiamo una fortuna per due birre piccole, saltiamo su un altro volo di 9 ore che, via Malé, ci porterà finalmente in Sri Lanka, sperando che i nostri bagagli facciano lo stesso viaggio.


Arriviamo alle sei del mattino, freschi come fiorellini di campo. Appena si apre il portellone dell’aereo, il caldo umido ci prende a schiaffi. Subito dopo, veniamo caricati su un van (il nostro fedele van) e spediti dritti nella giungla. Facciamo una breve sosta per raccogliere la guida, che ci aspetta davanti a una casa con un ritratto di Padre Pio dipinto così de botto senza senso sull'intera facciata.

La nostra prima tappa è Balapitiya, una tranquilla cittadina sulla costa sud-occidentale, lontana dalle rotte turistiche più battute. In un porticciolo disordinato e pieno di oggetti bizzarri, saliamo a bordo di una lunga barchetta per il Madu Ganga River Safari, un tranquillo giretto sulle acque pigre del fiume Madu Ganga, circondato da fitte mangrovie e affollato da uccelli, scimmie e coccodrilli. Durante il percorso, mentre cerchiamo di tenere la testa alta e gli occhi aperti nonostante il caldo e la stanchezza, sfilano davanti a noi isolotti con antichi templi buddisti raggiungibili solo via fiume e piantagioni di cannella. Ci fermiamo su una palafitta dove allevano quei pesciolini che si trovano nei centri estetici di tutto il Sud-est Asiatico per la pedicure, ma non sono sicura di aver gradito l'esperienza.


La seconda tappa della giornata, quando ormai siamo già tutti ampiamente nel Metaverso, è Ambalangoda. Che, in effetti, sembra proprio un nome uscito dal Metaverso. Lì, ci spariamo una visita al Museo della Maschera: Ambalangoda è famosa per le sue tradizionali maschere sri lankesi, utilizzate nelle danze rituali e nei festival. Il museo ospita una vasta collezione di queste maschere, con espressioni che vanno dall’euforico al basito (non troppo diverse dalle nostre a quel punto della giornata). Nei dintorni, ci fermiamo a visitare un laboratorio dove le maschere vengono ancora realizzate a mano. È un’occasione per osservare da vicino il processo di creazione e, per alcuni, la scena di una primissima strage di souvenir.

Terza tappa: Galle, una città storica sulla costa sud-occidentale, la risposta sri lankese a Gallarate. Ormai è tardo pomeriggio, non dormiamo da più di trenta ore e senza una birretta fresca diventa impossibile fare qualsiasi cosa. L'attrazione principale della città è il Forte di Galle, patrimonio mondiale dell'UNESCO. Costruito dai portoghesi nel XVI secolo e ampliato dagli olandesi, è un esempio perfetto di architettura coloniale europea in Asia. Passeggiando tra le sue mura, si incontrano antiche chiese, moschee, negozietti carini, caffè e gallerie d'arte, il tutto con lo sfondo del tramonto sull'Oceano Indiano, affollato di pescherecci colorati e navi commerciali che vanno e vengono.


È già buio quando arriviamo a Mirissa. L'albergo dove pernottiamo è un po' spartano, ma ha una splendida vista mare. Dopo una bella doccia, ci preparano un tavolo per la cena direttamente sulla spiaggia. Siamo stanchi morti, ma la serata è davvero piacevole. La cucina è a vista, e nonostante abbiamo seminato il panico chiedendo ai cuochi come prenotare una lezione di surf per la mattina seguente (abbiamo ipotizzato che gli istruttori sarebbero stati proprio loro), dimostrano di saperci fare ai fornelli. Una rapida pucciata di piedi nel mare, e poi, finalmente, andiamo a dormire.

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