Giorno 5 - Cartagena De Indias


Ci svegliamo all'alba per prendere un volo interno per Cartagena, ingombrandoci tra i letti a castello mentre forziamo le cerniere degli zaini o scontrandoci su e giù per le scale per cercare di precedere qualcun altro nella coda per il bagno. Poi via sulle ali della libertà, verso il mare, il caldo e una camerata molto probabilmente da 10 mista.

Trovare qualcosa con cui fare colazione all'aeroporto di Medellin è un'impresa. Non c'è quasi nulla che non contenga queso. Finisco per comprarmi un barile di caffè americano bollente e annacquato e una fetta di tarta de coco che sembra una mattonella di cannella (?), però buona.
Anche i giornali colombiani parlano di Modric che magari viene all'Inter. Trovo che questa cosa sia di una crudeltà estrema.

Cartagena è la città di Florentino Ariza e Fermina Daza. Fa caldissimo. Sono felicissima.
Nel centro storico sembra di essere a Cuba, con i baretti in cui servono rum, gli artisti di strada e gli ambulanti che vendono sigari.
Il Gruppo Disagio mi sta salvando la vacanza. A cena, ci sediamo schierati. Abbiamo passato il pomeriggio a correre spintonandoci in mezzo alla strada per fare le foto, tipo: «Togliti, mi stai impallando l'inquadratura!», «No, TU mi stai impallando l'inquadratura!».
Stasera ho assaggiato tre rum diversi sui bastioni della città, davanti al mare.

Solo che.

Solo che dormo in un ostello dentro a una casa coloniale restaurata. La camera è da sette, soppalcata. Sono al piano di sopra. E sotto c'è qualcuno che sta russando TANTISSIMO, ma una cosa che non si sopporta, buca le pareti. Da prendere a testate il muro.
A un certo punto, mi sono affacciata al buio sulle scale e ho emesso un fortissimo e tagliente SHHH!
Ha smesso solo per un secondo.

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