È ancora buio quando lasciamo la medina di Fès con gli zaini in spalla e ci dirigiamo verso Ifrane. Il paesaggio fuori dal finestrino cambia rapidamente: l'arancione delle colline si trasforma nel verde del Medio Atlante, e dopo circa un'ora e mezza di tornanti arriviamo in una cittadina dall'aspetto decisamente alpino.
Ifrane sembra sfuggire completamente all'immagine tipica del Marocco, con i suoi chalet dai tetti spioventi, le strade ordinate e i giardini curati. Fondata dai francesi negli anni '30 come stazione climatica, si trova a 1.650 metri di altitudine e viene spesso chiamata la "Svizzera del Marocco". Il caos della medina di Fès sembra molto più lontano di quei 70 km che ci separano.
Non sono ancora le sette del mattino, è la temperatura è di qualche grado sotto lo zero. D'inverno, Ifrane si trasforma in una località sciistica, con la vicina Michlifen che attira appassionati di sport invernali. In estate, invece, è un rifugio fresco per chi scappa dal caldo torrido di altre regioni.
Dopo aver scattato le foto di rito con la statua del leone, scolpita da un prigioniero tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale e simbolo della città, ci dirigiamo verso un bar dall'aspetto sfarzoso per goderci una bella colazione, gentilmente offerta dalla ragazza che festeggia il compleanno numero due della settimana.
Non ci siamo allontanati molto da Ifrane, su una strada che sembra uscita direttamente dal Nordamerica, quando l'autista accosta. Appena scendiamo, dalle fronde degli alberi spuntano diverse scimmie dall'aria furba, che si avvicinano senza timore.
Le scimmie di Barberia sono una specie tipica del Marocco. Si trovano principalmente nelle foreste del Medio Atlante, e il Parco Nazionale di Ifrane, dove vivono in libertà tra i cedri secolari, è il loro regno.
A differenza della maggior parte delle scimmie, queste non hanno la coda, il che le rende particolarmente buffe quando camminano. Sembrano decisamente abituate alla presenza umana, anzi, è subito chiaro che si aspettano qualcosa da noi, già pronti a offrire qualche snack (principalmente noccioline e pomodori, per cui impazziscono).
Queste scimmie giocano un ruolo importante nell'ecosistema delle foreste di cedri, ma purtroppo la loro popolazione è in declino, soprattutto a causa della deforestazione e del commercio illegale. Sono una specie protetta e si stanno facendo diversi sforzi per preservare il loro habitat e garantirne la sopravvivenza.
Quando rimontiamo sul van, stropicciandoci le mani per riscaldarle, sembra incredibile che tra poche ore saremo nel deserto.
Da qui, ci sono circa 250-300 km, tutti di tornanti. Attraversiamo il Medio Atlante e poi scendiamo verso sud-est, in direzione di Errachidia e del fiume Ziz. Nel tragitto, il panorama fuori dal finestrino cambia di nuovo, dalle montagne verdi a un territorio più arido man mano che ci si avvicina al sud del Marocco.
Dopo 4-5 ore di strada, ci troviamo così de botto davanti alle Gole dello Ziz, uno dei paesaggi più suggestivi del Marocco. Situate lungo il fiume Ziz, che scorre dal Medio Atlante verso il deserto del Sahara, queste gole si estendono per circa 30 km e offrono uno scenario spettacolare fatto di canyon profondi, scogliere imponenti e palmeti lussureggianti che si aprono come oasi verdi tra le rocce aride, con piccoli villaggi di case in terra battuta.
Le Gole dello Ziz sono un importante snodo per chi viaggia verso il sud del Marocco e il deserto del Sahara, in particolare la regione di Merzouga e le dune di Erg Chebbi. Molti viaggiatori fanno una sosta qui per godere della bellezza del paesaggio e visitare le oasi circostanti, magari fermandosi a bere un tè alla menta all'ombra delle palme.
Noi invece faremo qualcosa di diverso: abbiamo adocchiato una kasbah abbandonata, la Kasbah Amzoudj (o Amjjouj secondo Google Maps). Il nome kasbah significa cittadella fortificata; ogni kasbah prende il nome dal suo proprietario, il signor Amzoudj in questo caso, che è incaricato di occuparsene.
La cittadella è ormai abbandonata da tempo e ci addentriamo tra le rovine, guidati da un gruppo di bambini con gli occhi verdi, di etnia berbera. Il più piccolo di loro, per mano alla sorella, ha i capelli di un biondo purissimo. È un’esperienza suggestiva e le nostre piccole guide sono molto brave a spiegarci il funzionamento della società e l’organizzazione della vita nelle kasbah, descrivendo l'uso originario delle stanze e indicandoci portoni intagliati e tetti in legno decorati.
Ci sdebitiamo lasciando ai nostri ospiti qualche dolcetto, e ripartiamo.
Ora il deserto è vicino: lo si capisce dal blu del Il deserto è ormai vicino: lo capiamo dal cielo di un blu intenso, senza nemmeno una nuvola, e dall’arancione che domina tutto il resto. È ora di pranzo, l’aria si è scaldata e si sta bene anche senza giacca. Ci fermiamo in una strana area di servizio circondata da un praticello di un verde quasi surreale, con tavoli e sedie disposti sotto un gazebo e un grande barbecue dove stanno grigliando carne d’agnello. Nell’attesa, spostiamo le sedie al sole, una fila di persone in maglie termiche nere, occhiali da sole e bottigliette di Coca-Cola alla mano, impegnate nell’ambiziosa missione di abbronzarsi la faccia.
Merzouga è un piccolo villaggio alle porte del deserto del Sahara, da qui si arriva alle dune dell'Erg Chebbi, dove la sabbia color oro sembra non finire mai, e raggiunge altezze che possono superare i 150 metri. È un deserto da Mille e una notte, pronto per essere esplorato sul dorso di un cammello o su un 4x4.
La magia di Merzouga inizia al tramonto, quando il sole cala dietro le dune e il paesaggio si tinge di sfumature calde e dorate. La luce del pomeriggio si è già fatta morbida quando lasciamo gli zaini nel campo berbero dove passeremo la notte, e ci stringiamo sul retro di un pickup che ci porterà dai cammelli. L'autista, un ragazzo berbero vestito di tutto punto con gli abiti tradizionali, corre sulla sabbia: bisogna tenersi forte, ma è un sacco divertente.
Il giro in cammello (anzi, in dromedario) era decisamente una delle esperienze che più aspettavo. Si può dire che me lo stessi pregustando dal momento in cui avevo deciso la destinazione. E pazienza se il mio dromedario, per gli amici "il vecchio Giampiero", ha una faccia particolarmente incazzosa. Impressione confermata dalla mossa di alzarsi in piedi mentre ancora mi sto mettendo in sella (ci hai provato a farmi cadere, vecchio mio).
Guidata da un paio di ragazzi poco più che adolescenti in tunica blu, la carovana inizia a scivolare lentamente sulla sabbia, e il vecchio Giampiero, suo malgrado, mi porta fino a un punto panoramico sulle dune in tempo per il tramonto. Al calare del sole, la sabbia si tinge di tonalità rosse e arancioni, e il cielo diventa blu.
I ragazzi berberi, intanto, chiacchierano con noi e ci raccontano com'è essere adolescenti nel Sahara. Qualche volta, si guadagnano quattro soldi vendendo rose del deserto e minerali colorati, ma per lo più il loro lavoro è occuparsi dei turisti. Per la gioia del nostro Giampy, il tour prosegue fino al campo berbero, dove ceneremo intorno al fuoco, ascoltando storie e canzoni tradizionali gnawa sotto il cielo stellato.
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