Giorno 9 - Mulu Skywalk

 

Ho l'aspetto stropicciato di chi ha passato la notte a rimuginare sulle doppie spunte di Telegram e a bucarsi le vesciche sulla pianta del piede. Un grosso problema comune, perché se cammini per tutto il giorno e hai già le calze fradice dopo cinque minuti, vorrei anche vedere. I miei piedi, in effetti, sono un patchwork di tagli, cerotti di vari colori e misure, e fiacche. Una faceva così male che ho dovuto abbassarmi a chiedere al mio compagno di stanza di bucarla (ho ancora i segni).

"Scusa, dove dovresti andare vestita così?" "Nel Borneo è forse vietato essere fashion?"

Porto una canotta nera e un paio di inadeguatissimi pantaloncini pitonati (gli unici capi puliti ancora disponibili), sto facendo finta di non aver inviato un messaggio molto sottone circa tredici ore prima.

Siccome soffro un po' di vertigini, la cosa che stiamo per fare mi rende nervosa (quasi quanto mandare certi messaggia certe persone ben precise).

Credo che le paure siano di due tipi: gestibili (tipo chiedere di uscire a uno che mi piace o catturare una cimice in casa) e ingestibili (tipo i ragni in qualsiasi loro manifestazione). Con le altezze siamo ancora nel campo del gestibile, quindi una passeggiata di circa 6km su dei ponti sospesi a più di 25 metri di altezza è una cosa che si può fare. Se non la facessi, me ne pentirei sicuramente.

Tra le fronde degli alberi e le liane, se possibile, fa ancora più caldo. O forse sto solo iperventilando.

Le passerelle sono in legno e rete, mentre cammini il mondo balla sotto i tuoi piedi. Siamo otto, e dobbiamo stare attenti a come distribuire il peso mentre ci spostiamo o sostiamo sulle pedane intorno ai tronchi. Le masse di foglie (di un verde psichedelico mai visto prima, a cui le foto non rendono giustizia) danno una percezione soft dell'altezza, finché si passa in un punto dove gli alberi sono più distanti o sopra un'ansa del fiume: all'impovviso sei sopra uno strapiombo di rocce rossastre e acqua verde.

Ma dopo un po' la paura si stempera.

Piuttosto provati (pur non avendo fatto quasi niente), chiudiamo la giornata fatalmente al bar, svaccati sulle sedie di legno tosto con una Tiger in mano, davanti a cui le canoe passano lente e dove c'è un segnale wi-fi ancora più lento, così che possa tornare a pensare agli effetti irreparabili della rivelazione del giorno prima ("Senti, sono dall'altra parte del mondo, in un posto bellissimo, e penso a te. Cosa vogliamo fare?").

Ho pagato ben 1 MYR per avere la password e potermene preoccupare.

Mentre comincio a perdere ogni speranza e a lasciarmi andare a esternazioni autolesioniste, i miei amici reprimono in qualche modo la tentazione di prendermi a schiaffi. Sapevamo tutti che sarebbe finita in tragedia (soprattutto io), e in effetti va proprio così, ma non perché (come tutti ci aspettavamo) non mi avrebbe risposto.

Perché mi ha risposto.



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