Giorno 8 - Gunung Mulu National Park

 

Mi sveglio e sono già in crisi di astinenza da connessione.

Non mi mancano internet o i social network, ma la possibilità che qualcuno, non uno a caso bensì una persona per precisa, decida di mandarmi un messaggio (tanto non me lo manda), di mettermi like su Instagram o che mi guardi le storie. Per quanto io possa essere lucidamente consapevole che sia un po' poco, sono comunque sempre lì ad aspettare, guardami, dai, sono una persona così interessante. Io, per inciso, odio aspettare.

In primavera sono uscita qualche volta con uno e mi cisono fissata (sì, lo so che è estate), ecco perché non vedevo l'ora di scappare dall'altra parte del globo: con un telefono senza segnale, non c'è pericolo che possano arrivare notifiche da chiunque tranne che da chi vorrei e non ho modo di innervosirmi perché questo qualcuno continua a spiare in tempo reale ogni stupidaggine che pubblico (mette pure like, facendomi saltare i nervi). È come andare in rehab.

Un rehab dove i vestiti puliti smettono di essere tali al massimo cinque minuti dopo averli indossati.

Fa troppo caldo per riuscire a tollerare gli scarponi da trekking, così ho iniziato a camminare nella boscaglia con le Converse. Rimango in coda al gruppo, mi prendo tutto il tempo che serve per guardarmi intorno e fare le foto. Di solito il mio compagno di stanza rallenta il passo per farmi compagnia: a volte chiacchieriamo tranquillamente delle nostre cose, altre invece mi prende in giro per l'espressione corrucciata e finisce per farmi arrabbiare. Ogni tanto rimango da sola a pensare, e cammino in silenzio

Poi però si parte in canoa sul fiume verde, tra le persone che lavano i panni o si fanno il bagno e le radici delle mangrovie. L'acqua è bassa, e in alcuni punti bisogna spegnere il motore e remare, o addirittura scendere e spingere la barca a mano. All'inizio, pensi ai tuoi piedi nudi sul fondale e alle sanguisughe sui polpacci, ma in realtà la situazione è troppo divertente e te ne dimentichi. 

Poi si inizia a camminare sotto le cupole verdi degli alberi (dove in realtà fa perfino più caldo che allo scoperto) o nelle grotte orlate di stalattiti e stalagmiti bianche, dove scorrono fiumi sotterranei così limpidi che viene voglia di berli. Alla fine arriviamo a una pozza di acqua dolce, turchese e freddissima: quando ti immergi lo shock termico ti mozza il respiro, ma subito dopo ti viene da ridere. Sembra Fern Gully. 


Verso le 17 ci areniamo all'unico bar del parco. Fisso la mia lattina di Tiger vestita di condensa, sullo sfondo il fiume e delle canoe colorate che passano lente. Ed è proprio lì, nell'unico punto nel raggio di chilometri dove c'è un quasi impercettibile segnale wifi, che faccio la cazzata del secolo giorno.


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