Bako non è tra le mete più conosciute in Malesia, cosa che normalmente considero un plus. Il rumore è lontano, è più facile dimenticarsi del contratto di lavoro in scadenza e di quel messaggio che proprio non ti arriva. Se non c'è campo, niente messaggi (anche non essere single a 30 anni però aiuta).
Bako vuol dire trekking: sette ecosistemi differenti, foresta pluviale, cielo lattiginoso. In pratica vuol dire che si muore dal caldo già alle otto del mattino.
Partiamo da Kuching e risaliamo il fiume con una barchetta, ci
registriamo all'ingresso del parco e rinforziamo la colazione (nel mio
caso, cinque o sei fette di pane tostato asfaltate di burro di
noccioline) con un paio di birre, poi ci incamminiamo. 33° all'ombra,
umidità 70%.
La prima parte di cammino, su un sentiero battuto, è molto easy. Poco dopo si inizia a salire, sotto la cupola verde degli alberi, tra terra e rocce, felci e piante carnivore, scimmie e serpenti verde brillante. Poi la visuale si apre a picco su una baia di sabbia bianca e l'azzurro un po' incerto del Mar Cinese Meridionale: Telak Pandan Kecil. Si inizia a scendere.
Sulla spiaggia, tra le rocce e i tronchi d'albero trascinati fino a riva dalle onde lunghe, si aggirano migliaia di granchietti con una chela spropositata. Tra le piante ci osservano piccole gang di macachi pronti a rubare qualsiasi cosa rimanga incustodita. Ci togliamo i vestiti, e corriamo urlando fino al mare. Nel primo pomeriggio, la marea inizia a ritirarsi e una barchetta ci riporta alla base, tagliando tra le mangrovie, verso un'altra birra ghiacciata, una doccia e dei vestiti puliti.
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