Giorno 20 - Caño Cristales


È ormai chiaro che i tekking in hangover saranno il ricordo predominante del mio viaggio in Colombia.

Dopo una ricca colazione nel patio, tra i posacenere pieni e le bottiglie vuote della sera prima, a base di Nescafè solubile e biscotti di compensato, siamo partiti senza crema solare e senza repellente per gli insetti per le classiche 7 ore di trekking sotto il sole verso un posto dimenticato da Dio.

Non me la sono sentita di prendere la mia porzione di pollo frittissimo e avvolto in foglie di palma, e l'ho devoluta alla comunità. Il problema è stato cercare di razionare l'acqua dalla mia borraccia che perdeva. A un certo punto, rimango un po' indietro per fare delle foto e vedo dietro di me nella boscaglia tre soldati in mimetica e con il mitra che ci scortano, chissà da quanto.

Avvicinandosi al "Fiume dai Quattro Colori", la vegetazione diventa bassa e dall'aspetto graffiante, il paesaggio è tutto rocce rossastre e scabre, dove è facilissimo scivolare e spaccarsi il muso. L'acqua è veramente limpida, i fondali sono rosso acceso o giallo amaranto.

"Ma... i quattro colori?"
"Sono dati dalle alghe del fondo. Possono essere verdi, gialle, rosse o blu"
"Ma come blu... io di colori ne vedo uno, massimo due"
"Sì, ma infatti ha quattro colori nell'arco delle quattro stagioni"
"Mi sa che i colombiani hanno un po' esagerato con il marketing di questo fiume"
"Useremo tanti filtri"

L'apice della follia collettiva lo raggiungiamo quando le riserve di acqua sono ormai esaurite da un pezzo, fa un caldo insopportabile e cerchiamo di corrompere la guida perché ci porti per la via più breve (anche se meno panoramica) alla stamberga di legno dove possiamo berci delle birre Poker seduti al tavolo insieme ai polli.

Mentre salivamo sulle lance per rientrare, ha cominciato a piovere, a grosse gocce fredde e incazzate che facevano male alla pelle. Una volta sbarcati era un caos di gente già fradicia che correva, si infilava k-way e cercava un passaggio per tornare in ostello. I luminari del Gruppo Disagio, scelgono di fermarsi a bere una birra, aspettando che spiova. Non spiove. Ci carichiamo scompostamente su un risciò ed elaboriamo un piano per impadronirci della cucina dell'ostello.

Dopo un commovente discorso al coordinatore e a tutto il gruppo riunito nel patio, il gruppo disagio recupera qualche mantella dall'ostello (spicca un elemento alto due metri con una cerata troppo corta con gli smile) e parte in spedizione al supermercato.

Ci organizziamo in due squadre e cuciniamo la pasta al tonno per tutti in ostello. Nel patio non vola più una mosca, le persone sono sedute un po' ovunque. Dopo due giorni senza mangiare quasi niente, alla prima forchettata mi commuovo.

Ne mangio tre piatti. Food coma. Seguono diversi Cuba Libre wannabe per cercare di sbloccarmi.
È una delle serate più belle di tutto il viaggio.

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