Giorno 1 - Malacca

 

I 145 km tra Kuala Lumpur e Malacca scorrono via ovattati sull'autobus con la moquette e le tendine con le nappe. A un certo punto si parla di cassa comune e di quanti soldi dobbiamo cambiare, ma mi concedo comunque il lusso di essere distratta. Forse stiamo viaggiando troppo comodi, non può che essere il preludio di future sventure.

Comunque, la valuta malese si chiama Ringgit, circola sotto forma di svariate monetine di diversi colori e misure o banconote dalle palette pastello. Un Euro "sono quattro Ringgit, quasi cinque" (4,83 MYR).

La città di Malacca è la capitale dello stato federale di Malacca. A darci il benvenuto è un caldo pesante come un asciugamano bagnato, che ci prende a schiaffi non appena si aprono le porte del pullman. Siamo in un parcheggio sterrato e deserto, le uniche creature viventi si affollano sotto alla tettoia in lamiera di un baracchino che potrebbe essere la versione malese dei paninari fuori dallo stadio (quanto mi mancano i panini luridi, e già che ci siamo anche lo stadio), però con i noodles.

Dovrebbe essere l'ora di pranzo, ma non ne sono sicura perché non dormo da circa 24 ore e ne ho accumulate svariate in jet lag. Mi cambio i pantaloni con un paio di shorts che avevo saggiamente preparato nel bagaglio a mano. Vada per i noodles. I patiti del gel igienizzante mani si sentirebbero male. "E una Coca-Cola, che disinfetta".

Subito dopo, saliamo su una barchetta e iniziamo a visitare la città dalle acque verdi del Melaka River. Gli edifici del lungofiume sono squadrati e coperti di graffiti, le due rive sono collegate da ponticelli di legno tondeggianti.

Malacca è stata per secoli portoghese, poi olandese e anche britannica, oltre che fortemente influenzata dalla Cina. E si vede. L'architettura del piccolo centro città (Patrimonio UNESCO) è un delirio urbano di murales colorati, palazzi coloniali, templi, chiese, moschee, mura merlate con i cannoni, pagode, lanterne rosse e dragoni. Nelle vetrine delle pasticcerie ci sono i Pasteis de Nata, anche se non siamo a Lisbona. Lungo le strade sfrecciano i tuk tuk più tamarri del mondo, carichi di pupazzi di Hello Kitty e Doraimon, con la musica house asiatica che urla dalle casse.

Mi sento leggermente alticcia. Sarà il fuso orario, sarà il sonno, sarà l'umidità o forse anche le birre che ci siamo comprati mentre passeggiavamo per Chinatown. Al tramonto, stiamo brindando nella piscina del rooftop un po' decadente del nostro albergo, mentre il cielo diventa rosa e quasi tutte le lettere dell'insegna luminosa si accendono. È tutto bellissimo, sono felice, niente potrà andare storto.

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