Giorno 21 - Caño Cristales / Bogotà

 

Mi sveglio un po' sfatta dal rum dell'emporio della sera prima. Infilo i pantaloncini sotto alla maglietta con cui ho dormito (l'ultima pulita), mi allaccio le scarpe da trekking e butto alla rinfusa le mie quattro cose nello zaino.

Una tazza di caffè solubile e due biscotti a testa. L'ultima colazione nel patio. Lasciamo le nostre firme con un pennarello indelebile sul muro a calce dell'ostello e andiamo a piedi verso il piccolo aeroporto militare, dove un bielica ci riporterà a Bogotà. È mattina presto, ma fa già caldissimo.

Dopo il check-in e i controlli di un paio di militari in un locale che ricorda un po' i saloni delle villette anni settanta, ci mettiamo ad aspettare.

Intorno all'aeroporto, ci sono ancora le barricate. Un monumento con la bandiera colombiana e i nomi dei caduti durante la guerriglia. Compriamo qualche collana di perline e delle calamite bruttarelle, poi andiamo a bivaccare sotto il portico  del bar all'altro lato della strada, fino all'arrivo dell'aereo.

Il freddo ci investe già mentre scendiamo dalla scaletta di metallo, e ci entra nelle ossa ancora prima di salire sul pulmino in cui andremo a incastonarci nel traffico insostenibile di Bogotà. Dopo i colori sbiaditi dal sole di Macarena, sembra tutto grigio.


L'albergo è un parallelepipedo di vetro molto anni ottanta, in una zona non esattamente raccomandabile. È meglio non stare da soli nemmeno se si scende lì davanti per fumare una sigaretta. Le camere sono delle scatole rivestite di moquette marrone, ma tutto sommato è pulito e c'è l'acqua calda con cui farsi la doccia. Fuori fanno nove gradi.

Per le vie di Bogotà ci sono fiumane di gente che ti trascinano in un senso o nell'altro, ai lati dei marciapiedi tantissimi ambulanti che vendono paralleli di Versace e di Chanel, maglie da calcio tarocche, dvd masterizzati e cellulari usati, interi o a pezzi.

Ci sono grattacieli altissimi e trasandati, le nuvole pesanti si specchiano a fatica nei vetri sporchi o rotti delle finestre. Ogni tanto, per le strade schizzano veloci dei taxi gialli con i sedili di velluto nero, tutti sfondati, e le corone del rosario appese allo specchietto.

C'è qualcosa di strano e ostile in Bogotà, che a Medellin non c'era.

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