Giorno 19 - Bogotà / Caño Cristales


La sveglia è così presto che dobbiamo fare colazione nell'aeroporto deserto. La sfida è trovare una cosa qualsiasi da mangiare che non contenga queso. La scelta ricade su una torta al cocco che però sa di cannella (?) ed è pesante come una mattonella.
Ci accampiamo in una spoglia e gelida sala d'attesa, e attendiamo, per un tempo che sembra interminabile. Temperatura percepita: 1°C.

Il nostro aereo è un piccolo bielica che sembra un giocattolo e ha qualche problema a cavalcare i vuoti d'aria, tanto che non mi sento proprio serena nemmeno io, che non ho mai avuto problemi a volare. Ogni tentativo di dormire e recuperare almeno qualche ora di sonno è vano.
Quando atterriamo (su un prato), la porta della cabina di pilotaggio si apre e dalla prima fila cade un pezzo di copertura e scende la mascherina per l'ossigeno.

L'aeroporto militare di La Macarena è minuscolo: una casetta imbiancata a calce, qualche altro bielica parcheggiato sul prato. Ci sono ancora le barricate, perché fino al 2016 qui ci combattevano i guerriglieri delle FARC. Cerco di fare una foto di nascosto, ma appena alzo la mia Kodak usa e getta dalla barricata sbuca un soldato in mimetica, con l'elmetto e gli occhiali a specchio, che saluta con la mano e dice: "Hello! No photos".

La Macarena è un villaggio minuscolo in mezzo alla giungla, affacciato su un fiume fangoso. Qualche casa colorata, le strade sterrate piene di motociclette truccate e qualche cavallo che gira libero. I militari presidiano ogni incrocio, sono giovani e ridono con delle dentature bianchissime, ma hanno anche i mitra e le granate. Temperatura percepita 45°C, umidità 200%.

Per prima cosa, ci fanno un briefing in una stanza dove non gira un filo d'aria e le sedie di plastica non bastano per tutti: Caño Cristales è una riserva naturale, quindi è vietato mettersi la crema solare e il repellente per gli insetti, ma sono ancora più vietati i sacchetti e le bottigliette di plastica. Quindi ci vendono delle borracce (di plastica). La mia ovviamente perde.

Ci portano a mangiare sotto un grande tetto di lamiera quello che sembrerebbe pollo frittissimo. Ne offro un pezzetto a un randagio spelacchiato, ma non gradisce neanche lui. Poi partiamo per un trekking, ovviamente nelle ore più calde della giornata.

Per raggiungere Cristalito, dobbiamo fare un tratto in canoa su un fiume fangoso che fa molto film sul Vietnam. Poi iniziamo ad arrampicarci. È pieno di mosquitos, il caldo dà alla testa. A un certo punto, mentre cerco di estrarre il cellulare dalla custodia waterproof, cade e mi si frattura lo schermo. Pomeriggio RO VI NA TO.

Qualcuno poi ha anche la pessima idea di chiedermi se il posto mi piace:

"Spero che spianino tutto con una colata di cemento e ne facciano un parcheggio", dico.

Ma una ragazza del nostro gruppo scoppia a ridere e io devo girare di spalle, per non rivelare che sto ridendo anch'io.

Superiamo delle collinette coperte di piante basse, con le foglie grasse e lucide e fiori bianchi che sembrano fazzoletti. Ogni tanto ci sono delle chiazze nere dove tutto, la terra e i monconi di vegetazione, è carbonizzato. Lì è dove sono esplose delle granate, ai tempi delle FARC.

Cristalito è  un piccolo fiume limpido con il fondale coperto di lunghe alghe rossastre, dove si può fare il bagno. Per dirla tutta, con la testa siamo già in qualunque altro posto dove ci possano dare alcune birre ghiacciate.
Tornando verso le canoe sul fiume, ci troviamo in una radura squadrata, con delle palme posizionate in modo un po' artificiale: un ex accampamento delle FARC.
Al paese ci fermiamo in un bar 100% cemento per fare l'aperitivo: patatine dal sacchetto e una Club Colombia a testa. Siamo seduti fuori, e a quanto pare ai passanti fa strano che ci siano tre donne e sei uomini e ci tengono a urlare commenti in spagnolo.

Per cena siamo invitati alla festa del paese, sotto il solito tetto in lamiera. Non avevo mai fatto serata in scarponi da montagna, shorts di jeans, maglietta bianca e bomber. Per cena si può scegliere tra manzo e maiale. Io e un altro ci accordiamo su cosa prendere, ma il manzo è legnosissimo e dopo aver trovato nel piatto un pezzo di cotenna con ancora le setole lasciamo perdere anche il maiale e ci alimentiamo unicamente con la birra. Per questo non ci sembra così terribile quando i locals ci obbligano a salire con loro sul palco a ballare la Cumbia.

Tornati in ostello, rimaniamo a spaccarci di rum scadente e di cioccolato trovati in un supermercatino tutto sommato abbastanza fornito. Uno a uno, tutti cominciano a disertare, finché rimaniamo in due su una sedia a dondolo e un'amaca.

"Andiamo a letto?"
"Ti prego, no. Li senti come russano, là dentro? Se ci andiamo adesso non dormirò mai"

Dalle nostre quattro camere, si sentono delle russate diverse, tra il volume medio e fortissimo.
Ormai riconosciamo senza problemi chi sono. Rimaniamo fuori a ridere fino a tardi, ubriachi fradici.


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