Giorno 12 - Cabo San Juan del Guia


My favorite thing about camping is when I don't.
 Magari l'ultima notte a Cabo San Juan non sarà stata in assoluto la peggiore della mia vita, ma non mi sento di esagerare mettendola almeno in top 5.

Non sono nemmeno le otto, abbiamo appena finito di cenare con il solito pesce fritto, quando la pioggia ci sorprende con i gomiti ancora incollati ai tavoli sporchi e corriamo tutti a sistemarci per la notte, prima che la situazione diventi ingestibile.
Il nostro riparo sono delle canadesi blu da due posti dall'aria miseranda. Convinti della nostra saldissima organizzazione, ci puliamo i piedi infangati con le salviettine ed entriamo.

Dentro ci sono due materassini lerci e un caldo insostenibile. Io e il mio compagno di sventura, già drogato di paracetamolo, ci fissiamo dubbiosi, schiumando ognuno nel suo sacco lenzuolo.

«Lo sai che la Tachipirina 500 se ne prendi due...»
«Non mi sembra il caso»

La zanzariera contribuisce a rendere l'aria soffocante, ma siamo abbastanza preoccupati di prendere la dengue, o che, più banalmente, ci attacchino le formiche.

Rimaniamo in silenzio. Dopo un po' (poco, purtroppo), diventa chiarissimo che così non è possibile dormire. Proviamo a metterci sopra il sacco lenzuolo, immobili come mummie, per evitare il rischio di contrarre da 2 a 23 malattie veneree per il contatto con il materassino.
Finalmente, prendo coraggio e dico quello che stiamo pensando tutti e due:

«Sai che ridere se non siamo andati alla Ciudad Perdida per evitare di prendere le piattole e poi ce le prendiamo qui?»
«Questa cosa con gli altri non dovrà mai uscire. Noi siamo venuti al mare, abbiamo fatto la bella vita e bevevamo Mojito dalla mattina alla sera, ok?»

Stordito dal caldo e dalla Tachipirina, sfatto dall'asma e dalla bronchite, lui si addormenta russando piano. Fuori sta piovendo, saranno appena le 20.30. Cerco di leggere un po', finché inizia a piovermi direttamente sulla faccia e non posso più ignorare la cosa.

«Davide... sta piovendo»

Lui esce senza lenti a contatto e  con la torcia frontale, alla ricerca della fantomatica cerata con cui tutti si stanno riparando, e non torna più.
Appena inizia a coprire la tenda, sento l'aria farsi sempre più rarefatta. In due non si respira.
Però mica glielo posso dire subito.
Ci guardiamo:

«Non si può stare qua dentro così»
«Eh, no»

Questa volta mi offro io volontaria per uscire, e nel togliere la cerata mi rovescio addosso l'acqua fangosa. In tutto ciò, non saranno nemmeno le undici e dormire mi sembra un miraggio irraggiungibile. In una delle tende della fila dietro, vedo un tizio che sta beatamente facendo yoga e vorrei ucciderlo.

«Senti, accompagnami in bagno. Così, per passare il tempo. Sono sempre cinque minuti in meno passati qua dentro»

Quando torniamo, anche gli altri due sono fuori dalla loro tenda, e possiamo sclerare in compagnia finché ricomincia a piovere.

«Ma le salviettine?»
«Eh, finite»
«E i piedi?»
«Eh, vabbè»
«Silvia, io voglio andare a casa»

Sul mio sacco lenzuolo, un tempo bianco, iniziano a comparire diverse tonalità di macchie fangose. Continua a piovere e spiovere. Il mio compagno di sventura si riaddormenta (beato lui) e io rimango sveglia ad ascoltare i fischietti della sua asma, seduta a gambe incrociate davanti all'entrata della tenda, in mutande e reggiseno sportivo, cercando di captare almeno un filo d'aria.
Nel buio, le foglie delle palme sono completamente immobili.
Poi non sento più nemmeno un suono. Guardo il mio compagno di tenda, luccicante di sudore, e penso: è morto. Ma, quando controllo, respira, e forse sono io che sto diventando pazza.

A un certo punto, il buio inizia a diluirsi, e l'aria diventa meno pesante e io mi addormento, forse per mezz'ora. Quando riapro gli occhi, il cielo è color perla e il morto è risorto.

«È mattina, cazzo. Ce l'abbiamo fatta»

Piove ancora, i colori sono smorti. Quando mi alzo in piedi, sono così stanca che mi gira la testa.
Decidiamo di non rimanere a Cabo San Juan un minuto di più.

Il nuovo campeggio ha un vero ristorante, dei bagni puliti. Le docce non sono rivestite di melma verde. Le amache che ci assegnano sono di tela bianchissima, ognuna con la sua zanzariera. Ogni volta che ci dorme una persona diversa, viene lavato tutto.
Un trip in paradiso.

Giusto il tempo di stendere il pareo sulla spiaggia, e mi addormento secca, sotto il sole.

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