Giorno 10 - Parque Nacional Natural Tayrona


Che qualcosa sarebbe andato storto avevamo iniziato a sospettarlo dalla telefonata al referente colombiano e da come avesse minimizzato tutto quanto, assicurandoci che sarebbe andato tutto liscio.

Niente è andato liscio. A partire dal nostro passaggio delle sette, una jeep bordeaux scolorito che non si è manifestata prima delle otto e un quarto e per giunta con un blocco di ghiaccio legato sul tettuccio (?) dove poi sarebbero finiti (a infradiciarsi) anche i nostri zainetti con l'essenziale per sopravvivere i quattro giorni a venire.

Arriviamo ai cancelli del parco dopo un'ora. C'è uno spiazzo con alcune tiendas prese d'assalto, una folla di turisti per lo più colombiani, jeep e pullman di ogni taglia. Per prima cosa, dobbiamo guardare un video che ci istruisca su cosa si può fare nel parco (niente) e sugli oggetti che non vi si possono introdurre, tra cui spiccano gli strumenti a corda (??), quindi ci mettono al polso un braccialetto fluorescente da villaggio turistico all inclusive (i colombiani ne vanno pazzi, ne hanno uno per ogni occasione).

In tutto ciò, non siamo ancora riusciti a fare i biglietti, perché nella coda ci passa avanti chiunque, purché sia colombiano o la guida di un torpedone pieno di turisti.
Quando finalmente ci riusciamo, risaliamo tutti in macchina e ci impiliamo davanti all'entrata, le guardie del parco non ci vogliono far passare: secondo loro, abbiamo troppi zaini, e staremmo cercando di campeggiare illegalmente sulla Playa Arrecifes (quella dove è vietato suonare la chitarra). Proviamo a spiegare che, da lì, una barchetta di cui non sappiamo nulla, tranne che è rossa e blu, dovrebbe portarci al campeggio, dove dovrebbero (il condizionale è d'obbligo) attenderci delle cabanas prenotate a nome di non si sa bene chi.

Il punto più alto lo tocchiamo con; «¿Quién es el que manda aquí? Quiero hablar con el gerente».
Ma tanto non ci cagano comunque. 

Dopo aver provato a convincere i due in spagnolo, poi in inglese e, quando si scaldano gli animi, anche in italiano, valutiamo anche l'idea di corromperli con una bustarella. Peccato che nel frattempo siano arrivati altri spettatori, e come ci spiega il nostro prode driver, ormai è tardi perché c'è troppa gente da corrompere: avremmo dovuto pensarci prima.

Intanto, sul più bello, il corrispondente colombiano stacca il cellulare. In profondo sbattimento, riusciamo a convincere il driver a portarci a un altro ingresso del parco (a un'ora di distanza), promettendogli che la benzina gli verrà rimborsata dal referente che si è dato alla macchia.
Arriviamo all'ingresso di Palomino giusto in tempo per iniziare un trek nella giungla di qualche ora, sotto il sole di mezzogiorno.

Quando finalmente arriviamo al campeggio di Cabo San Juan del Guia, scopriamo (ma ormai non si può più davvero parlare di sorpresa) che non è stata prenotata per noi nessuna cabanas, e le tende sono già tutte occupate. Quindi ci mettiamo di nuovo in coda (ne sarebbero seguite tante altre) per prenotare un giaciglio. Rimediamo otto amache colorate, tutte in fila sotto una tettoia di paglia, di fronte alla baia.

Finalmente, mi sfilo dalla testa la canotta pezzata e mi butto in mare.

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