Day 15, Flores


Se al momento di andare a letto avevo fatto la figa in mutande e con il sacco a pelo aperto, «Ma fa caldo!» (cit.), poco dopo mi ero messa addosso una maglietta relativamente pulita, i calzettoni da trekking e avevo alzato la zip fino in fondo.
E così, si può dire, ce l'eravamo cavata con blatte e acqua calda, facendo a meno del letto pulito.
La nottata non era stata il massimo, tra le molle nelle costole e i galli fuori, che avevano cantato più o meno per tutta la notte.

Quella di fare ancora molte ore di pullman (la durata variava ogni volta che qualcuno poneva la domanda, da un minimo di due ore a un massimo di nove) e impanarci completamente di terra non sembrava un'idea top.
Io mi ero svegliata con il ciclo, in anticipo di ben due settimane e totalmente inaspettato. Quale giorno migliore?

Il mattino, ci sarebbe toccato il solito giro di selfie in qualche villaggio. Appena arrivati, io ho iniziato a buttare lì frasi come «Quanto mi piacerebbe bere un bel caffè» e ho aspettato che qualcuno abboccasse, per esempio Riccardo.
«Top. Famose 'sto caffè», e così io, lui, Vale e Martina siamo finiti a sorseggiare seduti sulla veranda di una capanna col tetto di paglia, insieme alla famiglia di una ragazza del posto completamente rapita da Riccardo, che avevamo usato come merce di scambio.

Seconda tappa, Le sorgenti di acqua termale dove credevamo che ci saremmo sciacquati via la polvere in totale relax. Descriverei la situazione che abbiamo trovato come: una specie di torrente basso e verde brillante in un letto di grossi sassi nero lava e giallo zolfo, in mezzo alla giungla, gremito di indonesiani pudichi e composti che fanno il bagno vestiti tenendosi aggrappati alle rocce. E ora immagina venti italiani mediamente casinisti, di cui la metà composta da scostumate in costume, che arrivano a turbare la quiete giocando alle rapide di Jumanji.

Dovevo capire appena ho messo dentro i piedi che non era tanto cosa.
La sensazione era quella di quando ti prepari un bagno molto caldo e all'inizio non riesci a entrare nella vasca. Ad aumentare il disagio, il fatto che mi fossi scottata un pochino tenendo un piede fuori dal finestrino del bus. Ma fin qui potevo ancora starci.
Ai primi due capogiri, ho pensato vabbè, adesso passa.
Quando sono quasi svenuta ho capito che era stata veramente un'idea di merda.

Per prima cosa ho perso la sensibilità alle mani e la forza nelle braccia, così mi sono staccata dal mio appiglio e sono scivolata giù per un pezzo del letto del fiume, urtando tutti i sassi che mi trovavo davanti e senza riuscire, per quanto ci provassi, a fermarmi.
Ho battuto forte la mano e il collo del piede cercando di resistere, poi la corrente mi ha sbattuta contro una roccia enorme su cui ho urtato forta femore e osso sacro (in pratica, ho dato una culata pazzesca). Mi ha fermato un albero caduto contro cui mi sarò incrinata un paio di costole, ma su cui sono riuscita ad arrampicarmi e arrivare sull'argine.

Gli altri all'inizio ridevano tantissimo, poi no.

«Come fai a uscire da lì a piedi nudi? Frana tutto, se ti gira la testa cadi e ti ammazzi»
«Raga, idea di merda. Devo uscire, se entro lì svengo»
«No, no, ferma! Vengo a prenderti, dammi la mano»
«Ce la devo fare da sola»
«Sì, lo so, dammi la mano»

A missione compiuta, zoppicavo un pochino e iniziavano a vedersi diversi lividi. Ne avrei avuto uno, lungo metà coscia per le due settimane successive.
Però, aveva una forma che ricordava un po' un cavalluccio marino.


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