L'ultimo giorno il cielo sembra smaltato come gli azulejos.
Raccogliamo le nostre cose e chiudiamo la porta della nostra brutta stanza. Lasciamo le chiavi in portineria per l'ultima volta. La mamma ci mette le valige nel sottoscala.
Andiamo a fare colazione al solito posto, un bar bianco e verde due civici più in là. È spoglio ma pulito, con gli sgabelli e i tavolini di formica: il nostro preferito è quello davanti alla vetrina.
Il caffè è buono, i muffin sono artigianali. Probabilmente li fa il ragazzo con gli occhiali che sta al bancone, fa cassa, prepara i caffè e lava i piatti e le tazze. A mano, perché la lavastoviglie non c'è.
Le Ramblas sono sopravvalutate. È infinitamente meglio il Barri Gòtico.
Nel chiostro della Cattedrale ci vivono delle anatre.
In giro si sta benissimo.
Al mercato c'è così tanta gente che si fa fatica a camminare.
Facciamo un aperitivo con jamòn ibèrico tagliato a cubetti al momento e un vino tinto pastosissimo.
Ce ne andiamo in giro senza avere un posto preciso in cui arrivare.
Alla fine, torniamo all'ostello a prendere le valigie.
Passiamo per l'ultima volta davanti al bugigattolo di Wok to Walk del civico di fianco, in cui un cinese di età imprecisata frigge cose a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ogni volta che passiamo, lui è lì che frigge, che siano le dieci del mattino o le due di notte.
Quando lo salutiamo, il nonno sembra triste.
Ci aspettano le lande desolate ricoperte di marmo scuro e il pessimo caffè dell'aeroporto.
Barcellona non è una città semplice. Ma è bella, la Stronza.
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