Day 2, Ubud


Mi svegliano prestissimo un gallo che canta e gli schiamazzi di quelli che sembrerebbero duecento bambini ("Che cazzo ci fanno tutti questi bambini urlanti alle sei?").
Me lo ricordo dove sono, perché aspettavo da un sacco di tempo di esserci. Non vedo l'ora di aprire la finestra.
Fuori c'è un patio pieno di piante. Per colazione, tè caldo, frutta e pancake.

Il nostro autista dimostra circa novant'anni (per gamba), il traffico di Bali è ingestibile. Tipo Milano all'ora di punta, ma con i carretti e più scooter di quanti avrei mai potuto immaginare.
I balinesi adorano gli scooter, li guidano tranquillamente in ciabatte e in tre.
Per le manovre difficili o per spostare i carretti, la nostra cariatide ha un piccolo aiutante di età imprecisata tra i 16 e i 36 anni che scende a dargli indicazioni o a spostare carretti e scooter in tripla fila, anche personalmente, se è il caso. Abbiamo deciso che sono nonno e nipote.
Non facciamo in tempo a uscire da Ubud che il pullman si rompe.
Dicono che ce lo aggiusteranno/sostituiranno/verrà un meccanico in un quarto d'ora.
Passano almeno due ore e mezza.
Il primo tempio che vediamo è il più famoso di Bali, Pura Ulun Danu Bratan. Del nome ho fatto bellamente un copia-incolla. Tira vento e ci sono dei pedalò a forma di cigno. Dico che sembra di essere a Verbania, ma in realtà sono (molto) contenta.

Andiamo a Tanah Lot per il tramonto. Il tempio è bellissimo, a picco sul mare con dei cavalloni altissimi, e per un momento mi dimentico di tutti i turisti e dell'aria un po' commercialona.
Scendiamo in spiaggia, e togliere gli scarponi da trekking e mettere i piedi in mare è bellissimo. E ovviamente un'onda mi fa i pantaloni.
Il tramonto lo vediamo dai tavolini di un bar dove ordiniamo diciannove birre Bintang. È una cosa da riempirsi gli occhi, che pensavo di vedere solo in qualche poster, su qualche desktop o cartolina con i colori assurdamente sparati. E invece.

Dopo cena, non è ben chiaro come, finiamo per andare a fare serata con i pantaloni da trekking. Inizia tutto ordinando due giri di rainbow shots (quello verde era chiaramente colluttorio) e ci ritroviamo a ballare le peggiori hit estive in pista, io a un certo punto senza maglietta, e la parte migliore è che non siamo neanche lontanamente ubriachi.
Alle tre stiamo ancora intorno a un tavolo da biliardo, facendoci girare delle bottiglie di Bintang, anche se quattro ore dopo dobbiamo partire per morire sulle scalinate di altri templi indù.
E a me sembra tutto molto giusto e fighissimo.
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