Happy Days

Io non vado a dormire prima delle tre
 Sto facendo troppe foto e non me ne frega un cazzo. Non devi mica guardarle, se non ti va.
Questa cosa di dire e fare tutto quello che ho voglia, forse, sarebbe il caso di iniziare a gestirla.
O forse no.

Mi stavo contando le punture di zanzara che ho sulle gambe e sulle braccia, che se le grattassi tutte anche solo un pochino, morirei. Allora ne ho scelta una da grattare forte. E tu invece dovresti prendermi per mano, così me la stacchi dalla caviglia, che sono già arrivata al sangue.
Sto incrociando la strada con diverse persone, e va bene così, mi sembra la stazione di Bombay in The Millionaire, anzi, nel video delle Pussycat Dolls, che un po' di zarroganza non fa mai male.

Sto andando a concerti totalmente a caso, decido alle cinque e mezza del pomeriggio stesso, ricompro i biglietti da quelli che li svendono su Facebook, che in questa estate duemilaedciassette sembra di stare su un TicketOne più onesto e molto meno sobrio. Ed è una figata.
Al ritorno mettiamo a tutto volume il mio telefono collegato allo stereo della macchina, che tanto sono viziata e mi sono fatta Spotify Premium, e ascoltiamo i pezzi più psichedelici dei Beatles, con i capelli che mi volano davanti alla faccia e mi finiscono in bocca.
Oppure tiriamo i finestrini tutti giù, spariamo a palla Liberato e attraversiamo la città a novanta all'ora urlando.

Io ti scrivo. Però tu scrivimi sempre, che mi piace. Scrivimi anche quando sarò fuori dal mondo, a fare trekking con i varani di Komodo. Perché prima o poi troverò un wi-fi, leggerò e sarò contenta.
L'anno scorso, a tratti, mi sono sentita un po' sola. E ok che l'anno scorso stavo da cani, ma quando sei via è bello sapere che a casa c'è qualcuno che ti pensa, e si augura che poi ci riporti la pelle, a casa.

Questo luglio sa di hamburger, di quelli che mangi con i gomiti puntati su un tavolone di legno coperto da una tovaglia cerata con i limoni, mentre il ketchup ti cola sulle dita e ti chiedi se il sangue poco cotto ti stia sporcando il mento. Di Autan Tropical.
Portami alla Festa dell'Unità a cantare Bandiera Rossa con le sciure con il grembiule da cucina e la tosse da fumatore e il chitarrista che avrà avuto novant'anni ma era ancora troppo sul pezzo, e aveva addirittura il risvoltino.

Magari non te lo dovevo far capire proprio subito che sono diventata un po' ingestibile, che in una serata sono capace di bere come un coro di alpini, che mordo, che è sempre un po' come avessi la febbre, come Rant Casey. O forse sì.
Ma andiamo a bere un'altra cosa, che ne voglio ancora, ancora e ancora.

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