Day 10, Ishasha + Kihihi


Da quando abbiamo superato la metà del viaggio, il tempo sembra scorrere in modo strano e non capisco come sia possibile che siano già passati dieci giorni.

Abbiamo cercato i leoni per tutta la mattina. Abbiamo setacciato il bush. Era l'ultima possibilità di vederli. A un certo punto, gli avvoltoi volteggiavano in cerchio e ci abbiamo sperato.
Ci abbiamo sperato fino a quando siamo usciti dai cancelli del parco.
Subito dopo, abbiamo bucato la seconda gomma.

I trasferimenti in Uganda possono sembrare interminabili. Duecento chilometri di polvere e strade sterrate piene di buche e con pendenze assurde, addolciti dalle caramelle e dai biscotti che dividevamo tra noi e con Abdul, facendo girare il sacchetto.
Gli abbiamo addirittura fatto mettere gli Skiantos, povero Abdul.

Kihihi è quasi Congo, e le persone hanno ancora paura. Le porte della guest house erano di metallo, pesanti, con una complicatissima chiusura blindata artigianale.
Durante il giorno non c'è corrente quasi da nessuna parte, e trovare una birra fresca è un'impresa.

Abbiamo conosciuto un 15enne che diceva di voler fare il prete in Vaticano. Aveva dei bei lineamenti, e non eravamo proprio certissimi di questa vocazione.

"Da dove vieni?"
"Dall'Italia"
"Anche tu come gli altri? Davvero? Sei diversa. Vedi che per strada ti guardano tutti? È perché tu sei proprio Muzungu. Sei proprio come ci immaginiamo i bianchi. Ti piace l'Uganda?"
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