Anna


La vita non ci appartiene, ci attraversa. La sua vita era la medesima che spinge uno scarafaggio a zoppicare su due zampe quando è stato calpestato, la stessa che fa fuggire una serpe sotto i colpi della zappa tirandosi dietro le budella.

Eh sì, ancora Ammaniti.
Questo libro l'ho letto in meno di cinque ore. Non riuscivo a smettere. E poi, se avessi messo in stand by lo schermo del Kindle, avrebbe potuto riflettersi la mia espressione su uno screensaver abbastanza scuro.
A dieci anni ho letto Il signore delle mosche e ne sono rimasta abbastanza turbata, senza capire bene perché. Non ci pensavo da un po'. Poi ho letto Anna e me ne sono ricordata.

C'è morte dappertutto, in questo libro.
Gli adulti sono stati tutti uccisi da un'epidemia, rimangono solo animali scheletrici e bambini sempre più selvatici, che scorrazzano per una Sicilia di campagne brulle e paesi vuoti. Poco dopo la pubertà, anche i superstiti si ammalano e muoiono.
È un mondo in cui le regole non sono più valide e bisogna scriverne di nuove.
Qualche volta, i nemici diventano amici.
La vita umana è diventata corta come quella dei cani randagi.
Non c'è sesso in questo libro (eh, no), ma quasi tutte le cose migliori che ha scritto Ammaniti, secondo me, sono quelle in cui non c'è. Dove è una pulsione appena percettibile, ogni tanto.
L'aldilà non c'è, ma forse si può trovare una via di fuga, o almeno un modo di morire decentemente.

Hai presente gli animali investiti in autostrada, che cercano morenti di andare via dalla carreggiata, trascinandosi sugli arti paralizzati e lasciando una scia di sangue e merda sull'asfalto?

Io sì. Era un gatto bianco, vicino allo svincolo di Genova, un camion lo aveva preso di striscio, spezzandogli la schiena. Sarà stata una cosa di due secondi.

Hai mai pensato a perché lo fanno, perché non si lasciano morire e basta?
Secondo me, questo libro parla di questo.

A volte sembra che si parli di morte, invece è solo un trucco.
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